Gli anni ’80

Coronato nel 1979 il cursus accademico con il conseguimento della cattedra di Dialettologia nel concorso universitario nazionale, Giammarco lascia la Facoltà di Lettere di Chieti – afflitta da divisioni interne che ne contrastano la permanenza in una collocazione più autorevole -, invitato a ricoprire il ruolo di docente ordinario presso l’Università degli Studi di Bari. Solo dopo qualche anno torna a svolgere il proprio magistero nella regione tanto amata: prima come titolare all’Aquila, poi, dal 1983, a Pescara, dove dirige la cattedra di Glottologia della Facoltà di Lingue e letterature straniere, nella vecchia sede di via Gramsci, a due passi da casa sua. Qui tiene corsi affollatissimi, instaurando con i giovani studenti un rapporto carismatico e improntato a grande umanità (v. la testimonianza dell’allieva Giuseppina Perinetti: “Quel professore dai capelli bianchi…”, in Il volo alto della parola). Partecipa con grande fervore alla vita accademica della Facoltà di Lingue, presieduta da Piero de Tommaso, fondandovi tra l’altro l’Istituto di Scienze del linguaggio e della comunicazione; nell’aprile del 1985, promuovendo una tradizione di scambi culturali che negli anni seguenti diventeranno il fiore all’occhiello della Facoltà pescarese, si reca in Canada per tenere un ciclo di conferenze presso le Università di Montreal e Toronto, incontrandovi anche le comunità d’origine italiana; come rappresentante dei docenti ordinari (il cui numero nell’Ateneo “D’Annunzio” è ancora molto ristretto) siede nel Consiglio d’Amministrazione, sostenendo l’opera del Rettore Uberto Crescenti per l’acquisizione di una sede che possa ospitare in modo dignitoso le tre Facoltà di Pescara.

Nonostante l’età non più verde e seri problemi alla vista, mantiene grande vitalità e la sua produzione scientifica in questi anni si arricchisce ulteriormente. Nel 1984 pubblica su “Abruzzo” l’importante saggio Cultura regionale abruzzese e cultura nazionale, ma presta volentieri la sua collaborazione anche alla storica Rivista abruzzese diretta da Emiliano Giancristofaro e all’organo del Centro Abruzzese di Ricerche Storiche di Teramo, Aprutium, dove pubblica tre saggi sulla presenza longobarda nella regione. In linguistica, i suoi interessi si rivolgono ora alla toponomastica e all’etimologia dei termini dialettali abruzzesi: il Lessico Etimologico Abruzzese (LEA), V volume del DAM, che ne prosegue l’opera monumentale, esce nel 1985. Ma l’antico cultore di poesia e letteratura torna ora a spaziare anche tra i testi dei grandi autori italiani, dalle origini alla contemporaneità (dalla Lamentatio beatae Mariae de Filio a S. Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi, da Dante a Petrarca e Tasso, da Foscolo a Leopardi, Manzoni, Pascoli, Carducci, D’Annunzio, fino a Montale e Luzi). Con cadenza annuale, tra il 1984 e il 1986, vedono infatti la luce i tre volumi di critica linguistica Pagine bianche, Nuove pagine bianche, Terze pagine bianche; secondo Ettore Paratore, che le recensisce molto favorevolmente sul quotidiano nazionale “Il Tempo”, si tratta di opere di “stupefacente varietà e originalità [che] profilano con trascinante ricchezza di motivi il punto d’arrivo di quell’ascesa del Nostro dalle inquadrature rigorosamente linguistiche a una visione che fonde gl’interessi glottologici con quelli di un ripensamento critico integrale della civiltà letteraria”. Non mancano, tra le “pagine bianche”, interpretazioni semiotiche di capolavori dell’arte italiana, quali L’ultima cena e La Gioconda di Leonardo e La primavera di Botticelli; uno spazio è dedicato alle voci più sensibili della poesia abruzzese in lingua e in dialetto: Marco Notarmuzi, Leandro Japadre, Benito Sablone e Vito Moretti.