VITO MORETTI
Vito Moretti vive tra San Vito Chietino – dove è nato – e Chieti – dove risiede -; docente universitario, è scrittore e poeta in lingua e in dialetto. Ha esordito meno che ventenne in poesia nel 1968 e, da allora, ha pubblicato una lunga e ininterrotta serie di volumi, taluni ristampati, altri tradotti nelle principali lingue europee. Da ultimo si segnalano Principia (Tabula Fati, Chieti 2016), La case che nenze chiude (ivi, 2013), Luoghi (ivi, 2011) e Dal portico dell’angelo (Tracce, Pescara 2014).
Ha tenuto incontri culturali e letture di poesia in Russia, in Francia, in Irlanda, in Turchia, negli Stati Uniti e in altre località, sia in Europa che in Italia. Ha dato alle stampe anche tre libri di racconti e una raccolta dei suoi interventi teorici sul dialetto e sulla poesia contemporanea. Per la sua attività di scrittore e di poeta ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti ed è stato oggetto di vari lavori monografici.
Da: Mo che vè la sere (2013)
Na lambàre va ’ppiccènne
Na lambàre va ’ppiccénne
una a une tutte le stelle
ch’à cascate a mmare
e na paranze j va ’pprèsse
a ccavaciulle de la lune.
Ugneccose sa cadéndre a la notte
s’arecumènze a ciavulijà
nghe le vejje de lujurne
e se fa arde nu ccone de ’nnucenze,
nanzigne de paure.
È nu vijaje la matine
È nu vijaje la matine
nghelu sole che se mette
a sciannechejà fra céle
e mmare. Me vè la vojje
destènnemedèndre a lu respire
de stupahésemè
e de ’ddurà la ciprie che mamme
spulverégne l’acqua sande
e de sciuvelàdapù
nghe l’uocchie chiuse
finendeaddóarrive la spume
de l’Adriateche, finende a lumistére
de chill’amore che me metteve n-gore
mijare de stelle e lusurrise
de naninnananne.
Da: Principia (2015)
venerdì 21 novembre
Fa versi la darsena
al sorso dei marosi e delle spume
ed è bianca di focolare
la preghiera dei pescatori
nel porto delle nuvole
e degli acquazzoni.
Canta la messa
lo sguardo delle mogli
e sa di ruvida marina
il bacio dei più giovani.
La mia pagina
è chiusa nel vetro d’una bottiglia
e si consegna al ciglio
della luna nascosta, allo spoglio
delle sue umide ombre.
mercoledì 3 dicembre
Sul treno lascio l’inverno
ai piccioni di San Marco e al mare
scavato nel grembo degli archi
e delle scale. Ho già gli odori
dell’Adriatico, i nodi che spendo
ad ogni ritorno, i pensieri
al peso leggero delle domande
e delle suppliche. Avrò pena soltanto
nel rivedere il nespolo secco,
il muro scrostato del cortile,
l’avanzo di siepe che dorme
nel gelo. Ma nella casa
ho anni astuti di versi, agiate
periferie alla finestra, risacche
al passo feriale dei mesi
e degli ombrelli: un miracolo
nel vaticinio di dicembre, un prodigio forse
nella minuzia dell’età.